Disturbi alla tiroide in gravidanza

Ecco i disturbi alla tiroide che possono insorgere in gravidanza:

Disturbi alla tiroide in gravidanza

IPOTIROIDISMO

Rallentamento generale delle funzioni metaboliche per insufficiente azione degli ormoni tiroidei sui tessuti. Si correla a complicanze ostetriche e ad aborti precoci, perché gli ormoni tiroidei sono indispensabili perla crescita e lo sviluppo della placenta e dell’embrione. Spesso è dovuto a processi autoimmuni, in cui l’organismo produce anticorpi contro il proprio tessuto tiroideo.

Sintomi: astenia, difficoltà di concentrazione, intolleranza al freddo, perdita di capelli.

Possibili conseguenze sulla gravidanza, se non trattato: ipertensione, diabete gestazionale, ritardo di crescita intrauterino.

Terapia: somministrazione continuativa di ormone tiroideo sintetico

IPERTIROIDISMO

Eccesso di ormoni tiroidei circolanti e conseguente accelerazione dei processi metabolici dell’organismo.

Sintomi: intolleranza al caldo, tachicardia, vomito, affaticabilità, stanchezza, ipersudorazione, perdita di peso.

Possibili conseguenze sulla gravidanza, se non trattato: ipertensione, preeclampsia, distacco di placenta, aborti spontanei, parto prematuro, basso peso alla nascita.

Terapia: farmaci antitiroidei

NODULI

Si tratta di addensamenti più o meno grandi che si formano all’interno della ghiandola.

Nella stragrande maggioranza dei casi sono di natura benigna (solo il 5% è una neoplasia maligna). Anche nei 9 mesi si possono fare i principali accertamenti del caso, quali ecografie e dosaggi ormonali.

Conseguenze: non hanno alcuna influenza sulla gravidanza perché non modificano le funzioni della tiroide.

TIROIDITE POST PARTUM

Si presenta subito dopo il parto ed è di solito una condizione transitoria. È dovuta al non riconoscimento da parte del sistema immunitario materno di alcune cellule fetali che si possono localizzare a livello della tiroide materna (“teoria della chimera”), con produzione dl anticorpi antitiroidei. Le tiroiditi sono infiammazioni della tiroide, acute o croniche, che possono essere il risultato di una malattia autoimmune.

Nei nove mesi la tiroide della futura mamma lavora per due. Fino a quando il feto non ne ha una tutta sua, deve più che raddoppiare la produzione di ormoni che, tra l’altro, regolano lo sviluppo cerebrale del bambino. In gravidanza, quindi, la tiroide va tenuta sotto sorveglianza speciale. Nella stragrande maggioranza dei casi non ci sono problemi, ma a circa 3 mamme su 100 accade di sviluppare ipotiroidismo, la ghiandola non riesce a soddisfare l’aumentato fabbisogno ormonale.

Un pericolo che può essere in alcuni casi scongiurato con l’uso del sale iodato in cucina, come dovrebbero raccomandare sempre i ginecologi. E che se si presenta, è facilmente rimediabile con la terapia farmacologica. A patto che venga diagnosticato in tempo.

La tiroide è una importante ghiandola situata nella regione anteriore del collo, precisamente davanti alla trachea, di cui segue tutti i movimenti.

Produce due ormoni (contenenti iodio) chiamati T3 e T4, fondamentali per la regolazione di molte funzioni vitali: crescita, metabolismo, frequenza cardiaca, ciclo mestruale, peso corporeo, livello del colesterolo, salute della pelle e sistema nervoso centrale.

Di norma pesa 20 grammi, ma in gravidanza questo valore aumenta un po’ perché lavora di più sotto l’effetto dell’HCG, la gonadotropina corionica umana (l’ormone prodotto dal trofoblasto, ovvero la futura placenta, che si può valutare attraverso il test di gravidanza).

Gli ormoni tiroidei materni sono indispensabili al bebè perché attraversano la placenta e garantiscono un normale sviluppo del cervello oltre che dei nuclei di ossificazione (cioè i centri germinali dai quali si formano le ossa). Soprattutto nel primo trimestre, quando il bambino dipende esclusivamente dalla madre. La tiroide fetale infatti si forma progressivamente durante i nove mesi, inizia a funzionare nel secondo trimestre e il processo maturativo continua fino alla fine della gravidanza.

La ricerca ha dimostrato che i bambini nati da mamme che non sapevano di essere ipotiroidee in gravidanza e quindi non curate, possono riportare problemi di sviluppo cognitivo.

Per questo motivo, oggi si ritiene che il deficit materno di ormoni tiroidei possa essere aggiunto alla lista di condizioni correggibili, proprio come la carenza di acido folico (associato a malformazioni rilevanti, quale la spina bifida – vedi sezione apposita), l’isoimmunizzazione Rh (fattore Rh negativo) o il diabete gestazionale.

Il problema è per chi non sa di avere un disturbo alla tiroide: nella disfunzione cosiddetta subclinica, i sintomi si confondono con gli inconvenienti tipici della gravidanza.

Quindi l’unico modo per sapere se la tiroide funziona correttamente in gestazione, è di aggiungere alle prime analisi del sangue in gravidanza, il dosaggio delle frazioni libere (FT3 e FT4) degli ormoni tiroidei e del TSH, cioè l’ormone tireostimolante prodotto dall’ipofisi.

Se non si è malate, né a rischio di esserlo, l’unica prevenzione possibile è l’utilizzo del sale iodato in cucina. All’inizio della gravidanza accelera il “turn over” dello iodio per la maggiore sintesi di ormoni tiroidei e l’incremento dell’eliminazione renale, e quindi aumenta la richiesta di questo oligoelemento. Al sale normale (che perde il suo iodio naturale nel processo di raffinazione), viene restituita una quantità di iodio sufficiente ad aiutare la tiroide a produrre correttamente i suoi ormoni. Una questione di salute pubblica, tanto che già dal 1991 il Ministero della Salute ha sostenuto una campagna di promozione dell’uso del sale arricchito con iodio, fino alla legge datata 2005 che ne impone sempre la vendita accanto al sale normale. Si calcola, infatti, che il 15% degli italiani sia esposto a lieve carenza iodica, soprattutto in quelle aree dove lo iodio scarseggia nel terreno e quindi anche nell’acqua come nei prodotti agricoli (frutta e verdura) locali.

IL TEST AL NEONATO

Tutti i neonati, nel terzo giorno di vita, vengono sottoposti a uno screening per le malattie metaboliche ereditarie (vedi sezione apposita), tra cui anche l’ipotiroidismo congenito, che colpisce un bambino ogni 2500. Poichè lo screening neonatale tiroideo nel nostro Paese ha una copertura del 100% dei nati, l’elaborazione su scala nazionale dei valori di TSH neonatale consentirà nel tempo di tracciare una mappa dettagliata dell’eventuale stato di iodocarenza delle diverse aree geografiche.

L’ipotiroidismo congenito non ha però quasi mai un legame diretto con le disfunzioni della tiroide della mamma (solo nell’1 -2% dei casi, essendo dovuto alla totale mancanza della ghiandola nel neonato o ad altre patologie). In caso di figli di mamme con una qualunque disfunzione tiroidea si allertano subito ginecologo, neonatologo e pediatra e si accelerano i tempi: appena nati viene eseguito l’esame sul sangue del cordone ombelicale per il dosaggio degli ormoni tiroidei liberi (FT3, FT4), TSH e anche di eventuali anticorpi materni passati attraverso la placenta (chiamati TRAb).